Cornamusa, come si è evoluta nel tempo

Cornamusa, storia e caratteristiche

La musica nel corso della storia ha presentato diverse evoluzioni, in molti casi legate ai cambiamenti economico-politici, in altri a causa di un miglioramento costante di materiali e tecnologie.

Tra gli strumenti musicali più suggestivi e affascinanti figura sicuramente la cornamusa, dalle fattezze singolari, cresciuta e utilizzata in specifici contesti culturali, sociali e territoriali. Nelle prossime righe focalizzeremo l’attenzione sulla cornamusa, analizzandone le origini, le caratteristiche, le tipologie e come si è trasformata in Italia.

Cornamusa: cos’è

Prima di esaminare più nel dettaglio le caratteristiche della cornamusa è opportuno darne una definizione per coloro che non conoscono benissimo tale strumento. La cornamusa, conosciuta nella variante italiana come zampogna, è uno strumento musicale capace di generare un suono particolare attraverso una sacca e degli elementi funzionali.

La cornamusa è costituita principalmente da un tubo inserito in un otre, che sfruttando la riserva di aria consente di generare dei suoni molto suggestivi. Nell’immaginario comune è considerato uno strumento legato alla Scozia, ma la sua espansione in tutto il mondo ha generato diverse varianti, ognuna con caratteristiche ben definite.

Cornamusa: le origini

La presenza in commercio di tante tipologie di cornamusa evidenzia come sia molto difficile definire l’origine di tale strumento musicale. Le testimonianze più antiche risalgono alle rappresentazioni egiziane del I secolo a.C., in cui viene raffigurata l’immagine di un suonatore di cornamusa, nello specifico uno strumento a canna.

Esulando le origini da questo periodo storico, si hanno riscontri più evidenti nel mondo greco-romano, principalmente nell’età imperiale, generando poi diverse versioni in tutto il mediterraneo.

Nel XII secolo d.C. però di ebbero le prime attestazioni ufficiali, con un manoscritto reperito nel territorio lombardo in cui viene raffigurata una cornamusa realizzata con una piccola sacca e una singola canna melodica.

Negli anni successivi si realizzarono diverse versioni della cornamusa, ma già nel XIV e XV secolo si ottennero le prime rappresentazioni della cornamusa moderna, con due canne e una sacca grande: bordone e chanter.

In Europa si utilizzò sempre di più tale formato, attecchendo soprattutto in Scozia, dove ancora oggi prediligono questa tipologia di cornamusa. In terra francese ebbe grande successo solo tra il XVII e il XVIII secolo, mentre in Spagna non rappresentò un’alternativa valida agli strumenti musicali locali. In Italia invece, si ottennero diverse versioni, che analizzeremo nel dettaglio successivamente.

Cornamusa: caratteristiche

Per quanto non tutte le cornamuse siano identiche tra loro nella realizzazione dei materiali, nelle dimensioni e nei suoni, si possono identificare delle caratteristiche comuni in quelle più utilizzate. Nello specifico si possono evidenziare sette elementi principali: sacca, insufflatore, chanter, bordoni tenori, bordoni basso, corda e stock.

Sacca: questo elemento è essenziale per accumulare aria, calda o fredda, da convogliare verso le canne e produrre il suono desiderato.

Insufflatore: denominato in inglese blowpipe è l’elemento che serve al musicista per inserire all’interno della sacca l’aria necessaria a generare i suoni.

Chanter: quando si nomina il chanter ci si riferisce alla canna sulla quale vengono suonate le melodie. Come è facile dedurre, è l’elemento con cui si possono creare suoni e melodie predefinite, sfruttando l’aria accumulata all’interno della sacca.

Bordoni tenori: nelle cornamuse tradizionali europee, sono presenti due bordoni tenori, tenor drones in inglese, utili per fornire al chanter una nota di accompagnamento fissa.

Bordoni basso: usualmente il bordone basso, bass drone, è singolo e ha una forma allungata più ampia, ed è anch’esso utile per generare una nota fissa di accompagnamento.

Corda: i bordoni, siano essi tenori o bassi, sono legati da una corda, anche se solo il basso viene a poggiarsi realmente sulla spalla del suonatore.

Stock: caratteristica imprescindibile di una cornamusa è lo stock, questo capace di innescare il chanter e l’insufflatore nella sacca. Tale elemento è nella gran parte dei casi in legno e fissa la sacca in modo saldo alle altre componenti, limitando le perdite di aria. Negli ultimi anni, tutte queste caratteristiche possono variare a seconda del modello di cornamusa scelto e dall’artigiano/azienda. La composizione della sacca e degli elementi mobili, tanto quanto le loro dimensioni possono variare notevolmente, adeguandosi alle esigenze di chi dovrà utilizzare lo strumento musicale.

Cornamusa: tipologie

Ponendoci nella condizione di scegliere una cornamusa dell’Europa Occidentale, si possono reperire due tipologie di questo strumento musicale: ad aria calda e ad aria fredda.

Aria calda: in questo caso le cornamuse sono prive di otre e vengono alimentate per insufflaggio attraverso il boccaglio da colui che sta suonando lo strumento.

Aria fredda: nelle cornamuse ad aria fredda invece, il gonfiaggio della sacca è dovuto dall’utilizzo di un mantice bloccato da cinghie posizionate sotto il gomito del musicista. Tale disposizione sfrutta il movimento del braccio per riempire la sacca di aria.

La cornamusa scozzese è uno strumento musicale ad aria calda, mentre la cornamusa irlandese, la Uilleann pipes, è uno strumento ad aria fredda.

Cornamusa: l’importanza delle specificità territoriali

Preso atto di quelle che sono le caratteristiche e le tipologie principali di una cornamusa, è opportuno dare uno sguardo più nel dettaglio a quelle che sono le variazioni in base al Paese di riferimento. Vediamo prima la cornamusa scozzese e poi quelle italiane.

Cornamusa scozzese

Quando ci si riferisce alla cornamusa scozzese si identifica la GHB o Great Highland Bagpipe, che per quanto possa sembrare identica nel corso del tempo, ne esistono almeno quattro varianti. Oltre alle informazioni storiche precedentemente anticipate, la cornamusa scozzese è stata utilizzata nell’esercito britannico a partire dal XVIII secolo, diventando di fatto uno strumento musicale riconosciuto dalle autorità militari.

Ma, è solo nel 1852 che i suonatori di cornamusa vennero riconosciuti come ruoli effettivi all’interno del contesto militare. Ancora oggi sono una forma culturale rilevante per la milizia scozzese, anche se la cornamusa ha riscosso maggior successo nella musica Folk e in quella popolare negli ultimi anni.

Chi suona la cornamusa scozzese utilizza una tecnica sfruttando un sistema a diteggiatura chiusa, anche se la difficoltà maggiore nel suonare tale strumento musicale risiede nella gestione delle chiusure e aperture molto rapide per generare le note.

Le cornamuse italiane

Focalizzando l’attenzione su quelle che sono le cornamuse italiane più interessanti e utilizzate, si possono porre in primo piano: la Zampogna, la Piva, la Launeddas e il Baghèt.

Zampogna

Questa tipologia di cornamusa è particolarmente utilizzata nella zona centro meridionale dell’Italia, dove le è stato attribuito il nome di Zampogna. Viene a caratterizzarsi per la presenza di ancia e otre, quest’ultima rappresenta la comune sacca di pelle animale cucita.

La Zampogna è associata alle festività, ai rituali e alle musiche popolari, soprattutto durante il periodo natalizio. In questo specifico periodo dell’anno viene però preferita la Zampogna con due chanter, uno dedicato alla melodia e l’altro all’accompagnamento.

Piva

Quando ci si riferisce alla Piva o Musa delle quattro province, si identifica la cornamusa della zona emiliana, precisamente utilizzata nelle vallate dell’Appennino emiliano, nell’area tra Piacenza, Genova, Alessandria e Pavia. Gli anziani del luogo la chiamano anche Muzetta ed è costruita con un chanter staccato, che può essere utilizzato anche come flauto.

Sebbene rappresenti un pezzo di storia emiliana, la Piva non venne più utilizzata dopo il secondo conflitto mondiale, tranne che nel territorio modenese negli anni Ottanta. In questo caso la cornamusa presentava un chanter a doppia ancia e un otre in pelle di capretto.

Launeddas

Una delle cornamuse più interessanti e suggestive del panorama italiano è la Launeddas, proveniente dalla terra sarda. Questo strumento musicale presenta un’ancia battente e tre canne; quella più lunga denominata tumbu è il bascio, completamente priva di fori e capace di generare un’unica nota. La seconda canna, denominata mancosa manna, ha il compito di accompagnamento; mentre la terza, conosciuta come mancosedda, è libera e consente la fuoriuscita della melodia.

Esistono diversi modelli, che differiscono principalmente per la composizione delle canne, alcune di queste utilizzano quelle palustri, altre quelle di fiume. Attualmente questa cornamusa è utilizzata principalmente per i rituali religiosi.

Baghèt

L’area bergamasca-bresciana predilige la cornamusa denominata Baghèt, con sacca in pelle di pecora e una canna a doppia ancia realizzata in canna palustre. Sono presenti anche due bordoni ad ancia singola. Il Baghèt è utilizzato nei periodi natalizi.