Per il pubblico e gli appassionati di musica, il banjo è uno strumento legato al genere jazz, country e blueglass, ma in realtà il banjo possiede un’origine molto interessante e una storia che affonda le sue radici nel 1800.
La parabola del banjo, è quella di uno strumento musicale che si è a tutti gli effetti occidentalizzato, staccandosi dal contesto rurale e diventando strumento d’accompagnamento per eccellenza.
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La storia del Banjo
L’aspetto del banjo come lo conosciamo oggi, è strettamente legato all’evoluzione che lo strumento ha compiuto negli Stati Uniti.
Nonostante le sue origini siano africane, da un certo punto in avanti, il banjo travalicò i confini degli ambiti rurali e afroamericani, diventando un emblema della commistione fra musica nera e bianca.
Le origini
L’Africa è generalmente riconosciuta come il continente che ha dato i natali al banjo: qui le popolazioni suonavano il banjar, uno strumento musicale che già dal nome presenta un’assonanza col banjo e che veniva ricavato dalle zucche, sulle quali si tendeva una pelle di animale.
Fu attraverso gli schiavi africani che successivamente il banjo arrivò in America, dove venne costruito con i materiali del luogo e adottato in maniera graduale dai bianchi.
Dalle piantagioni ai minstrel show
Gli afroamericani suonavano una versione molto povera del banjo nei campi, creata con materiali di fortuna: non di rado il manico era un manico di scopa, la pelle era assicurata approssimativamente alla cassa e le corde erano semplici spaghi.
Grazie ai primi costruttori come Boucher, nell’Ottocento lo strumento iniziò ad assumere una forma ben definita, che servì da modello per tutti quelli creati dopo: il minstrel banjo.
Il minstrel banjo era usato in un genere di spettacolo molto diffuso, il minstrel show, che dipingeva i neri in maniera satirica, ritraendoli come sempliciotti di buon cuore che imbracciavano spesso un banjo.
A interpretare la gente di colore erano proprio i bianchi, che si dipingevano la faccia di nero e la bocca di bianco (forma di trucco detta “blackface”): sebbene ai nostri occhi questo spettacolino sembri offensivo, in realtà all’epoca era molto apprezzato dagli stessi afroamericani.
Il minstrel banjo era una sorta di via di mezzo tra lo strumento originale e uno di matrice europea: i tasti non c’erano ancora, ma il manico finiva con un riccio simile a quello del contrabbasso e le corde salirono a cinque. La quinta corda, con funzione di bordone, arrivava solo a un’altezza parziale del banjo.
La figura di Joel Walker Sweeney
Il banjo a cinque corde fu reso popolare da Joel Walker Sweeney (1810-1860), una figura che critici e storici paragonano a quella di un Elvis Presley ottocentesco.
Egli contribuì a lanciare il banjo anche presso i musicisti bianchi: lui stesso fu il primo musicista non di colore a imbracciare il banjo, che aveva imparato a suonare dagli schiavi delle piantagioni.
Grazie a Joel Walker Sweeney, i materiali rurali che costituivano il banjo furono sostituiti da componenti più solidi e la cassa armonica in legno prese il posto della zucca.
Erroneamente viene attribuita a Sweeney anche l’aggiunta della quinta corda, ma in base a foto e documenti dell’epoca, si è concluso che essa era già presente e che al massimo Sweeney abbia aggiunto la quarta.
Col suo banjo, dal 1830 Joel Walker Sweeney iniziò a girare tutti gli Stati Uniti, affiliandosi a un circo o esibendosi nei minstrel show.
Così il banjo divenne più familiare anche alla borghesia bianca e l’artista ne ricavò un successo così grande, da iniziare un tour europeo nel decennio successivo.
Divenuto una star, Sweeney entrò a far parte del gruppo blackface più celebre dell’epoca, i Virginia Minstrels, con cui esibiva un repertorio che spaziava dalla musica irlandese (sua terra d’origine) ai brani della tradizione americana.
Le epoche del Banjo
Si conclude così l’epoca d’oro del banjo, definita dagli storici Early Banjo e individuata dal 1810 fino al 1860 e si apre una nuova fase, il Classic Banjo.
Il tempo vede il banjo trasformarsi in uno strumento colto, adottato dai nordisti e suonato nei salotti dalla borghesia bianca.
Il banjo abbandona dunque il palco dei minstrel show per suonare musica da salotto (parlor music) ed è qui che vengono aggiunti i tasti simili alla chitarra.
Mentre sorgevano riviste interamente dedicate al banjo, anche la tecnica mutò dallo stroking e dai pizzichi alle corde di Sweeney, a una tecnica simile a quella della chitarra classica.
I banjoisti si presentavano spesso vestiti elegantemente in frac ed erano accompagnati da piano e altri strumenti, suonando un repertorio creato appositamente per i banjo da compositori come Emile Grimshaw, Frank Lawes e Joe Morley.
Vess L. Ossman (1868-1923) fu invece considerato il più grande musicista di banjo della sua epoca e fu il primo ad incidere anche un disco di musica afroamericana in cui era presente questo strumento.
Il suo enorme successo declinò solo agli albori degli anni ’20, quando il genere jazz si impose come nuova musica alla moda: i virtuosi del banjo jazz furono Harry Reser ed Eddie Peabody.
Il primo era esponente del banjo tenore e divenne famoso con la sua band grazie alle radio, mentre Peabody si specializzò nel plectrum banjo, dando vita al modello Vegavox, elegante e sottile.
A partire dagli anni’30, il banjo inizia a essere soppiantato del tutto dalla chitarra classica e più in là dalla chitarra elettrica, conservando però il suo status di strumento caratteristico del jazz tradizionale.
Tuttora questo strumento raccoglie seguaci e amatori, i quali seguono musicisti come Béla Fleck, uno tra gli artisti che hanno rotto i confini di genere musicale tipici del banjo.
La struttura del banjo
Non è un caso se molti definiscono il banjo un tamburo munito di un manico e di corde: visivamente è proprio questa la forma che richiama a prima vista.
Il banjo è formato da un cerchio di legno, detto “rim” in inglese, sui cui è tesa la pelle di animale; in epoca moderna il legno è stato sostituito dall’alluminio e la pelle da altri materiali sintetici.
C’è poi il manico, realizzato con legno di palissandro e dotato di tasti simili a quelli della chitarra.
Nei modelli migliori di banjo, sul cerchio è posizionato un anello in ottone, il tone ring, utile a creare un timbro migliore durante l’utilizzo dello strumento e ad aumentare il volume del suono.
Il tone ring può avere la stessa grandezza del rim, oppure un diametro minore ed essere rastremato verso l’alto, in modo tale da creare un timbro più brillante: in questo ultimo caso viene chiamato archtop.
La tecnica di liuteria più classica riguardante il banjo, vede la creazione del rim come corona circolare ricavata da più pezzi di legno e poi lavorata al torneo.
Nella cassa viene successivamente innestato il manico, mentre è comune che la pelle oggigiorno sia il mylar, al posto di quella in capra o di vitello, le quali producono un timbro diverso.
Le corde vengono agganciate a un’elaborata cordiera metallica e attraverso di esse, il suono arriva alla cassa, tramite un sottile ponticello realizzato in legno.
Materiali e tipologie
Il legno stesso con cui è realizzato il banjo, influisce non poco sulla timbrica: i più comuni sono l’acero per la parte centrale e mogano e noce per il manico.
Esistono due versioni principali di banjo: nella prima, quella più antica, la cassa non è chiusa poiché il retro dello strumento rimane aperto (open back).
La versione col resonator risale invece agli anni ’20 del Novecento e venne denominata così perché al banjo fu avvitata una grande coppa di legno, per chiudere lo strumento e riflettere il suono verso il suo esterno.
Il banjo comprende una grande famiglia di ibridi, come il banjo-chitarra, il banjo-mandolino o il banjo-ukulele.
Come si suona il banjo
Il banjo a cinque corde usato nella musica bluegrass, si suona pizzicando le corde tramite tre plettri dalla forma di ditali.
I ditali vengono indossati su pollice, indice e medio della mano destra e vengono denominati fingerpiscks.
La loro funzione è quella di agevolare lo scorrere dei polpastrelli sulle corde e l’esecuzione di brani e arpeggi, tecnica definita “Scruggs Style”, dal nome del suo fondatore Earl Scruggs.
Proprio in opposizione a Scruggs, Don Reno creò invece la tecnica del single string, consistente nel suonare su un’unica corda alternando pollice e indice.
Infine, negli anni ’60, Bill Keith fuse le due tecniche nel melodic style.
Le accordature dello strumento, invece, cambiano a seconda delle tradizioni territoriali.
Ad oggi l’uso del banjo a quattro corde è relegato alle formazioni Dixieland, che ripropongono il repertorio delle origini del jazz, mentre la musica irlandese si avvale di una versione modificata del banjo, l’irish banjo: compatta e caratterizzata da una scala ridotta a 17 tasti, consente alla mano di saltare sulla tastiera, al fine di eseguire le articolate melodie celtiche.
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