Strumenti musicali tibetani

Strumenti musicali tibetani

La musica tibetana possiede, notoriamente, specifici aspetti che la rendono rilassante, inducono tranquillità e serenità. Il motivo sta nella sua origine ad uso prettamente religioso, che ad oggi non risulta mutata nei suoi usi più diffusi, dal richiamo quasi folkloristico ma al contempo solenne.
La musica tibetana nasce per parlare all’anima, per accompagnare ritualistiche e preghiere e il suo ruolo non è affatto puramente scenico, bensì gli stessi strumenti sono considerati sacri e le cui sinfonie, armonizzate fra loro, compongono suoni gravi che, se cadenzati con specifici ritmi, inducono concentrazione e benessere. Si tratta degli elementi madre della meditazione Buddista.
Ma facciamo un passo indietro.

Diffusione della musica tibetana e dei suoi strumenti musicali

La musica tibetana è profondamente radicata nel carattere del suo popolo, tanto da essersi diffusa ovunque vi siano state comunità etniche tibetane. Ecco perché è tanto sentita (uditivamente ed emotivamente) in Nepal, Buthan, India e in parte in Cina. Ogni popolo ha poi declinato le sonorità tibetane secondo la loro cultura, mantenendone però ancora al giorno d’oggi, il carattere profondamente spirituale.

I cantastorie tibetani

Tutto nasce nel XII secolo, e probabilmente anche prima, ma è a quel secolo che riconduciamo la tradizione della parabola cantata, vale a dire la narrazione di parabole buddiste attraverso la canzone. La musica che accompagnava il racconto era spesso uno strumento catartico per la meditazione e la concentrazione, così da rafforzare la preghiera. La parabola musicale era quindi sì un mezzo a scopo rituale e meditativo, ma trovava subito in sé uno scopo divulgativo del messaggio buddista. Nascono così i cantastorie erranti che, in grandissimo numero, iniziano a spostarsi ed espandersi nei territori limitrofi e anche più lontano. Un po’ al pari dei nostri menestrelli medievali, i cantastorie tibetani erano nomadi, spesso poveri, vivevano delle offerte che gli venivano donate, si accompagnavano frequentemente di illustratori che disegnassero i racconti che cantavano, così da rendersi il più comprensibili possibile anche a quei popoli più lontani che non conoscevano la lingua, pur però conoscendo il buddismo.
La loro operosità musicale errante viene anche influenzata, paese dopo paese e popolo dopo popolo, dalle vicende sociali o politiche di quella determinata regione. Questo ha portato nella parabola cantata anche lo scopo satirico e persino informativo, quasi sempre in forma comunque canzonatoria e sarcastica. Ai suoni mistici e profondi si accompagnavano anche sinfonie più ritmate e leggere dal sapore maggiormente folkloristico. Questo ha portato anche ad una capillare diffusione negli usi e costumi di altri popoli degli strumenti musicali tibetani. Il cantastorie nomade era un vero e proprio monaco tibetano ma, al contempo, coinvolto in sagre, festival e narrazioni musicali leggere e intense.
Tutto questo faceva, dell’arrivo di un cantastorie errante presso un villaggio, un momento di festa, riflessione, informazione, intrattenimento e preghiera.

Gli strumenti musicali tibetani

Come detto, la musica tibetana nasce nell’ambiente religioso, meditativo e buddista. Un monastero cadenza tutto il suo tempo attraverso musiche e armonie che accompagnano le sessioni di meditazione, l’inizio e lo svolgimento dei rituali, la contemplazione interiore e non, nel tempo libero. Tutto questo accade ancora oggi e se ci soffermiamo un attimo a riflettere a tutti quei monaci che fanno voto del silenzio, la musicalità del monastero assume anche una connotazione comunicativa ed estremamente affascinante da un punto di vista spirituale.
Un’orchestra monastica può fare affidamento su una media di 13 elementi diversi fra loro. Troviamo il grande tamburo, rigorosamente suonato nello svolgimento delle cerimonie, ma anche tintinnii, gong, scampanellate e strumenti da fiato e a corde a riempire ogni istante della giornata monastica e a scandire gli eventi.
Una recente catalogazione musicologica suddivide in 4 categorie gli strumenti tradizionali tibetani: strumenti a fiato, strumenti a percussione, strumenti a corda pizzicata, strumenti a corda per arco.

Strumenti a fiato

Lo strumento musicale tibetano che più si fa strada nell’immaginario collettivo è il Radong. Si tratta di un corno estremamente lungo, tanto da necessitare la presenza di più persone a sorreggerlo e indirizzarlo. Soffiandovi dentro si genera un suono grave, profondo e duraturo, molto simile alla tromba sonora di una nave, ma più delicato. Esso apre alle cerimonie più importanti ma accompagna non di rado ad attività meditative o eventi solenni.
La conchiglia marina, con giusto qualche accorgimento artigianale, si presta ad essere strumento tipico da fiato annoverandosi fra gli strumenti musicali tibetani. Il suono è acuto ma ampio, non stridente ma alto: utilizzato per scandire l’avviarsi o il concludersi delle molteplici attività quotidiane volte alla cura del monastero e dei monaci, come la cucina, le pulizie, l’ornamentazione, la lavorazione della terra, delle piante ecc. Esso era anche utilizzato, in tempi più remoti, per avvisare il monastero e la comunità limitrofa, dell’arrivo di una calamità naturale che, dalle alture dove frequentemente era ubicato il monastero, poteva essere scorta.
Altro strumento da fiato molto originale era il Kangling, o flauto osseo, una trombetta intagliata da un femore umano o animale e dotata di intarsi decorativi molto fitti e dettagliati.
La Dafa, o Tongqin, è un corno di rame che dal suono di base può estendersi a cinque armoniche molto alte: lunga circa 3 metri la sua estensione dona al suono un grande volume.

Strumenti a percussione

La percussione è, insieme ai suoni da fiato, l’elemento cardine che contraddistingue le sonorità tibetane. Infatti fra gli strumenti musicali tibetani troviamo una vasta gamma di strumenti a percussione, seconda o parimerito solamente con quelli da fiato.
I cimbali sono rappresentativi della categoria, insieme ai tamburi, ma prestandosi ad una certa praticità d’uso e trasporto, sono divenuti alfieri della percussione sonora tibetana, possiamo infatti trovarne molti, come souvenir, con decorazioni e incisioni. Le loro sonorità cambiano in base al metallo che li costituisce: possiamo trovarne in rame, ferro, ottone, persino argento e oro. Anche la dimensione influisce, ovviamente, sul suono. Pochi sanno che i più piccoli vengono utilizzati in cerimonie svolte per attrarre energie positive o spiriti benevoli, mentre le più grandi vengono adoperate nel respingimento di energie negative o entità adirate. Al loro pari vi sono, inoltre, solamente le campane tibetane che possono essere suonate orizzontalmente ad altri strumenti o accompagnare canti, ma il loro uso è prettamente circoscritto alla meditazione. Un oggetto affascinante, dal suono delicato ma perentorio.


Strumenti a corda pizzicata

Gli strumenti a corda pizzicata si prestano ad usi solenni e religiosi, ma possiedono una versatilità d’utilizzo che fanno di loro i protagonisti della musica folkloristica tradizionale e di eventi mondani e leggeri.
Lo zhamunie è certamente il più rilevante tra gli strumenti musicali tibetani annoverati come a corda pizzicata. La tastiera, dove si stendono le corde, è lunga, mentre il fondo è ovale e pronunciato. Il tutto in poco più di un metro di dimensione totale: 108 cm per l’esattezza. Spesso rivestito di pelli di capra lavorate, esso è caratterizzato da un’ornamentale testa di drago al termine della lunga tastiera. Questo liuto accompagna frequentemente eventi popolari, balli e la musica folkloristica più tradizionale.

Strumenti a corda per arco

Gli strumenti a corda per arco si differenziano per le loro sonorità delicate e propense a una vibrazione considerevole e duratura. La melodiosità di tali strumenti li rende particolarmente efficaci in contesti drammaturgici, celebrativi e, in genere, teatrali.
L’huqin è un violino dalla tastiera lunga e un arco regolare, anche se viene spesso impiegato l’arco corto. Alto abbastanza da essere suonato poggiato su un sostegno, spesso la gamba. Sostegni di determinati materiali possono conferire proprietà specifiche al suono in uscita. Nell’immaginario occidentale esso viene spesso associato alla femminilità, mostrandolo in uso alle musiciste donne. Questo per via della delicatezza del suo suono, si pensa, ma ancor più per una diffusione d’utilizzo nelle regioni cinesi tanto da divenire iconico in Cina. Forse è da lì che potrebbe aver avuto origine l’immagine, un pizzico stereotipata, della donna che allieta un pubblico col suo huqin nei locali, nei teatri o nelle mura domestiche. Nella realtà questo strumento non ha, ovviamente, alcun carattere predominante di genere. Diciamo è una romanticheria che abbiamo acquisito dalle immagini orientali di questo strumento che, noi occidentali, quasi sconosciamo, se non negli ambiti musicali accademici o più appassionati.
Proprio l’huqin ha però origine dal più antico corno di toro. Esso è il violino per eccellenza fra gli strumenti musicali tibetani, e differisce veramente poco dall’huqin, se non che è fatto letteralmente di corno di toro e il suo utilizzo viene esclusivamente legato all’arco piccolo.