La kalimba, dagli schiavi neri d’America ai grandi kalimbisti di oggi.

Kalimba-malimba, strumento musicale africano

Nell’America schiavista si poteva trovare spessissimo, presso gli alloggi degli schiavi di qualsiasi piantagione, un oggetto in legno o guscio di zucca, bucato e con delle lamelle applicate sulla facciata: la kalimba (o malinba). Era un rudimentale strumento musicale a percussione, usato e suonato dagli schiavi nei pochi momenti di svago, o sotto richiesta del proprietario terriero, nella casa padronale per allietare la famiglia o i commensali.

Con l’abolizione dello schiavismo rimase impresso il ricordo di quello strumento, anche come simbolo di rivalsa e identità. Oggi, proprio negli Stati Uniti d’America, troviamo i maggiori kalimbisti che hanno dato corso e sostegno all’evoluzione di questo strumento fino ai giorni nostri.

L’occidente incontra la kalimba proprio in occasione di quel periodo buio della storia americana. E, a proposito di kalimbisti, il più noto e influente è proprio Mark Holdaway, americano dell’Arizona, ideatore, insieme a Sharon Eaton, della kalimba cromatica, un’evoluzione articolata e complessa della classica kalimba che le conferisce evoluzioni musicali e sonorità inedite precedentemente.

Ma vanno altresì citati anche Yohei Kisanuki, giapponese, e il nostrano Nick Strippoli, romano. E rimanendo proprio in Italia, vanno citate le produzioni di kalimba italiane più famose e vendute al mondo come le linee di Giuseppe Verrico e Danilo Raimondo. Il primo con le Verrico Cajon Kalimba e il secondo con le Danilo Raimondo Kalimba.

Invece la già citata kalimba cromatica, ideata da Mark Holdaway e Sharon Eaton, è della Hugh Tracey. Tutte le kalimba prediligono una lavorazione artigianale, ma anche i modelli di produzione industriale godono di altissima qualità. L’unica kalimba che viene prodotta interamente a mano, e di cui non esiste alcuna produzione industriale e di massa, è proprio la kalimba cromatica. Questo rende lo strumento, nella sua versione Holdwaiana, un vero e proprio prodotto di nicchia e, al contempo e quasi paradossalmente, la versione ampiamente più utilizzata.

Le migliori kalimba esistenti sono impiegate nella musica rock, folk, jazz, soul e new age. Specie dopo la sua effettiva esplosione d’impiego negli anni ’70. Ma è nelle armonie della musica tradizionale e del folklore africano che la kalimba possiede il suo storico repertorio musicale che è andato evolvendosi man mano che lo strumento stesso si evolveva. D’altronde parliamo di uno strumento musicale che affonda le sue radici storiche in 3000 anni fa, nel continente africano. Potremmo quasi definirlo, nella sua forma più primitiva, il pianoforte più antico del mondo.

Caratteristiche e funzionamento

La Kalimba, detta anche Malimba o, più gergalmente, piano da pollice, è uno strumento a percussione.

La sua struttura è composta dalla cassa di risonanza e da alcune lamelle applicate frontalmente in corrispondenza di un foro. Tali lamelle, flessibili per rispondere al pizzico nelle dita, possono essere in legno o metallo.

In realtà l’utilizzo delle lamelle in legno non è consigliato, nè particolarmente diffuso, in quanto è la vibrazione del metallo a generare il suono e la nota. Basti pensare alle sopracitate kalimba fabbricate dagli schiavi neri americani, esse erano costruite con materiali di recupero: scatole di legno, gusci di zucca vuoti o vecchi contenitori rammendati, per la cassa. Ma le lamelle erano in larga maggioranza preferite in metallo lavorando lame di vecchi coltelli o i denti delle forchette. Anche nella precarietà delle condizioni di costruzione e nella scarsità di materiali, si è prediletto l’uso delle lamelle in metallo.

Le lamelle sono quindi ubicate sul fronte della cassa, sopra un foro principale. Ma la cassa di risonanza possiede altri due fori più piccoli sul dorso. Il numero di lamelle va da 5 a 24, e nei casi di kalimba più complesse, perfino 40. Ogni lamella, pizzicandola con la punta delle dita, produce un suono dato dalla vibrazione. Le lamelle si comportano quindi come i tasti di un pianoforte, ma vanno sollecitate come le corde di una chitarra.

Come accennato la kalimba si è evoluta nel tempo, dapprima in territorio africano, successivamente in territorio occidentale, precisamente negli USA. Nelle sue versioni più antiche non presentava nemmeno cassa di risonanza e le lamelle, molto più tozze e grossolane, erano poste su un piano in legno. Era dalla loro corposa vibrazione che derivava il suono, senza alcuna risonanza. Se pensiamo che, ad oggi, le kalimba, o molte di esse, hanno una predisposizione elettronica per la distorsione del suono e per l’amplificazione o registrazione digitale, possiamo davvero apprezzare quanta strada abbia fatto questo strumento dagli albori della musica alle più avveneristiche tecniche di composizione e produzione musicale.

E dagli anni ’70 ad oggi è stata, spesso, motore trainante di veri e propri generi che sulle sue sonorità hanno costruito uno stile.


Come suona e come si utilizza la kalimba

La musica d’origine africana ha caratteristiche ritmate, allegre e dolci al contempo, lasciando spazio anche a peculiarità tipicamente malinconiche e nostalgiche. La kalimba, vista la grande varietà sonora che può produrre, si presta esattamente a queste melodie, e grazie alle versioni più moderne, anche a sonorità più incalzanti, complesse e perfino inedite rispetto ai classici utilizzi. Il suono può essere dolce, come quello di un carosello, o profondo e grave.

Può essere suonato in accompagnamento, in virtuosismi solistici o come elemento a tratti predominante per addolcire le armonie di un brano.

La kalimba va suonata reggendola con entrambe le mani ma lasciando liberi i fori sul dorso. Con la punta delle dita, ancora meglio se si utilizzano le unghie, si pizzicano le lamelle. La cosa forse più insolita, e scomoda per chi non è abituato, può essere appunto la prensilità dello strumento durante la performance. Può essere poggiato su un piano, sempre senza coprire i fori, le prime volte. Ma la buona notizia è che la kalimba è uno strumento relativamente facile da imparare. E sia ben chiaro che facile non significa semplice. I gradi di complessità nell’uso della kalimba dipendono esclusivamente dal suo suonatore e da quanto vuol spremere in tutte le sue potenzialità lo strumento. Ma, in linea di massima, impararne i rudimenti e l’utilizzo basico è abbastanza facile.

Il web è stracolmo di guide, video corsi e insegnamenti per neofiti e non di ogni genere. Si trovano molto facilmente appassionati che prestano la loro abilità a chi vuol imparare, spesso in forma del tutto gratuita.

Non solo sull’utilizzo, persino sulla costruzione di una kalimba, dall’aspetto strutturale alla taratura delle note desiderate, in base al numero di lamelle e all’utilizzo che si desidera farne. E può essere spesso una porta d’accesso al mondo della musica più facile di altri, ma non per questo semplice o banale. Tutt’altro.

Difatti è possibile trovare un suonatore di kalimba che non sappia però suonare il piano o la chitarra, ma è abbastanza raro trovare un suonatore di pianoforte o chitarra che non sappia approcciarsi molto facilmente alla kalimba, anche se non ne avesse mai fatto utilizzo.

La kalimba: strumento di Dio e testimonianza di resilienza nera

La kalimba è testimonianza verace e potente della resilienza africana e dei tempi più oscuri che hanno attraversato alcuni popoli di origine africana. E in tali tempi è nella musica che hanno trovato conforto, nella musica. La kalimba, a ben pensarci, non è solo uno strumento meraviglioso e dalle note intense ed evocative. Ma è anche, e a volte soprattutto, una testimonianza di vita e amore per la musica. Amore incondizionato.

Nelle leggende africane più antiche, di quelle che si perdono nei tempi dei tempi, si narra della kalimba come dello strumento creatore di tutte le cose della terra. Lo strumento di Dio che, semplicemente suonandolo, armonizzò il creato, la natura, gli animali. Fu una lamella che, indebolitasi, fece perdere l’accordatura generando una nota disarmonica. Essa era l’uomo. E così, l’umanità, prosperò diffondendo il seme della disarmonia, del conflitto, del dolore che, in origine, non esistevano.

La kalimba ha rappresentato uno strumento di fuga e armonizzazione interiore per gli schiavi neri d’America, vittime dell’espressione più amara e velenosa di quella nota stonata sulla kalimba di Dio.