Strumenti musicali indiani

Sitar - strumenti musicali indiani

L’India è sinonimo di esotismo, spiritualità e mistero fin dai tempi più antichi. Un continente più che una nazione, popolato da oltre un miliardo di persone, con usi, costumi, religioni, espressioni artistiche, danze e musiche, diversi da nord a sud, da levante a ponente. Un mondo che agli occhi degli occidentali conserva un alone di arcano e che con le sue contraddizioni, anche in una società globalizzata come l’attuale, mantiene intatto il fascino che catturava i viaggiatori dei secoli scorsi.

La musica non fa eccezione, dai raga ipnotici alle derive dance e occidentalizzate dei Bollywood, dalle scale misteriose della musica classica indiana a quella popolare e folkloristica, la varietà di generi ed espressioni è impressionante.

Non scenderemo in dettagli tecnici relativi alla musica indiana, come modelli di scala, note dominanti, schemi ascendenti e discendenti, toni, semitoni e microtoni, poiché si tratta di elementi che meritano una trattazione specifica.

Ci soffermeremo invece sull’utilizzo e le caratteristiche di alcuni strumenti musicali indiani, che con il loro suono e timbro riescono a connotare in maniera inconfondibile composizioni ed esecuzioni. Strumenti che negli ultimi decenni hanno esercitato una fascinazione notevole nei confronti di musicisti e pubblico di tutto il mondo, grazie anche all’endorsement di personaggi celebri e alla diffusione della world-music. Iniziamo quindi la nostra descrizione, soffermandoci – tra le decine e decine di possibili opzioni – sugli strumenti musicali indiani più tipici e importanti.

Bansuri

Il bansuri è uno strumento a fiato antichissimo che viene costruito, seguendo una lavorazione artigianale molto affascinante, utilizzando la canna del bambù. Questa viene tagliata, essiccata, trattata con resine e oli che la rendono più resistente e infine forata utilizzando punteruoli incandescenti. Seguono le rifiniture e l’accordatura. La leggenda narra che sia il flauto suonato da Krishna, il Dio più volte raffigurato nell’atto di utilizzarlo.

Si tratta di un flauto traverso il cui sviluppo è indipendente dagli analoghi strumenti occidentali e una delle sue caratteristiche è che i fori vengono turati dalle falangi delle dita e non dai polpastrelli. Questo comporta una maggior precisione e la possibilità di realizzare più facilmente effetti come glissati e porzioni di tono.

Il bansuri può avere una lunghezza variabile tra i venticinque e i settanta centimetri circa; più il flauto è lungo, più gravi sono le note che riesce a suonare. L’intonazione può partire da un fa alto per i bansuri più corti e arrivare fino a un sol basso con quelli più lunghi.
Un lato dello strumento è chiuso e – a seconda del modello – può avere da sei a otto fori; il foro di entrata, nel quale si soffia è situato a pochi centimetri dall’estremità dello strumento. Il suono è caldo, affascinante e ricco di sfumature.


Pakhawaj

Il pakhawaj, come molti strumenti musicali indiani, ha cambiato più volte nome durante i secoli e – ancora oggi – viene denominato in maniera diversa nelle varie zone della sterminata nazione. Si tratta di uno strumento a percussione, ormai quasi del tutto soppiantato dal tabla, ma ancora molto importante nella musica tradizionale e nello stile denominato dhrupad.

È un grande tamburo a forma di botte, con due teste, costituito da un unico blocco di legno. Le due pelli hanno dimensioni disuguali e naturalmente, di conseguenza, anche il suono è differente. Ogni pelle è costituita dalla sovrapposizione di due membrane, una in pelle caprina, l’altra di bufalo, che vengono tenute unite da una fune che passa intrecciata in una serie di fori posti sulle membrane stesse.

Per accordare il pakhawaj si agisce su una serie di cilindri che regolano la tensione delle pelli, normalmente intonate con un intervallo di quarta o quinta. Il suono di questo strumento è caratterizzato da una corposità e gravità maggiore rispetto al tabla, sia per le dimensioni che per lo stile esecutivo ,che privilegia i colpi a mano aperta, con uno scarso utilizzo delle dita.


Sarangi

Il sarangi è lo strumento ad arco più noto e importante della musica indiana e per lunghi secoli, in virtù del suo suono ieratico, e per certi versi assimilabile alla voce umana, venne utilizzato per cerimoniali religiosi e musica devozionale.

Il sarangi ha una gamma espressiva notevolissima, infatti il suo nome tradotto significa centinaia di colori, a indicarne la quantità di sfumature ottenibili. Il corpo dello strumento è una cassa piatta ottenuta da un unico blocco di legno scavato; il piano armonico è in pelle, e regge un ponticello su cui sono presenti due tipologie di corde: le tre principali in budello, accordate normalmente in do-sol-do e quelle risonanti, più di quaranta, in metallo.

Il sarangi è uno strumento molto complesso da accordare, manutenere e soprattutto suonare, vista l’assenza di tasti e la tecnica esecutiva molto differente da quella – ad esempio – del violino.

Oggi il sarangi viene utilizzato prevalentemente in concerti solistici come accompagnamento principale, assieme alle percussioni, della voce.


Sitar

Il sitar è probabilmente lo strumento simbolo della musica indiana nel resto del mondo. Oltre al suono incantevole e inconfondibile, è innegabile il contributo alla sua notorietà fornita da musicisti occidentali – The Beatles, George Harrison, i Rolling Stones, su tutti – che si sono invaghiti delle sonorità del sitar e della perizia di artisti virtuosi del calibro di Ravi Shankar.

Realizzato generalmente in palissandro e teak, il sitar ha una lunghezza di circa un metro e venti centimetri; il manico è lungo circa novanta centimetri e largo tra gli otto e i dieci. La cassa di risonanza è costituita da una zucca tagliata a metà e coperta, sul lato aperto, da un sottile strato ligneo.

Il sitar ha sei o sette corde principali disposte superiormente, e tra le undici e le tredici corde di risonanza, dette simpatetiche, più in basso. Delle corde in alto, da tre a cinque si utilizzano per la melodia, le restanti per accompagnare, in special modo sui registri bassi. Le corde risonanti sono quelle che conferiscono anima al suono del sitar e non vengono pizzicate, ma vibrano grazie agli impulsi trasmessi delle corde principali.

Esistono moltissime varianti di sitar, un po’ come la chitarra per gli occidentali, ma uno dei modelli più conosciuti è sicuramente il Ravi Shankar. Questo, presenta una seconda zucca di risonanza sulla parte alta del manico, che funge da monitor per l’esecutore; inoltre ha una speciale ricchezza delle decorazioni e due ulteriori corde basse per aggiungere un ottava grave all’estensione dello strumento.

Normalmente per suonare il sitar ci si siede sul pavimento in una posizione yoga ben definita e si utilizza un particolare plettro indossato sull’indice destro.

Il suono, beh, quello lo conosciamo tutti ed è incantevole.


Tabla

I tabla sono le percussioni indiane per eccellenza. Utilizzate sia per accompagnare il canto e altri strumenti, che con funzione solistica, trascinano l’ascoltatore in un vortice ritmico ipnotico e fisso, per poi abbandonarsi a variazioni complesse e articolate. La ragione dell’enorme successo e diffusione in India dei tabla sta nel fatto che, in questo strumento, si è arrivati alla sintesi, alla summa di tutte le tecniche delle percussioni indiane, dal pakhawaj, fino al dolak e al naqqara. Inoltre i tabla si suonano utilizzando prevalentemente le sole dita, consentendo quindi figurazioni più veloci e maggiori varietà timbriche.

Gli stilemi dei tabla contemplano un numero impressionante di tecniche e composizioni; il loro studio è infatti codificato e tramandato da una generazione all’altra attraverso sei scuole principali, dette gharana.

Il set di tabla è generalmente composto da una coppia di tamburi: il più piccolo, che si chiama dayan e viene suonato con la mano destra, è realizzato in legno. L’altro – più grave – denominato bayan, viene suonato con la sinistra e può essere in terracotta, ferro o bronzo.

L’altezza dei due tamburi è simile, normalmente non supera i 25/30 centimetri; il diametro è invece differente visto che nel bayan è minore e può variare tra i 13 e i 26 centimetri. Le pelli e il sistema di accordatura richiamano da vicino quanto già visto nel pakhawaj, con la doppia membrana, gli intrecci e i cilindri per l’intonazione.

Ciò che rende unici i tabla è l’impasto – detto syahi – di carbone, miscelato a farina di riso, colla e polvere minerale, che viene steso sulle superfici delle pelli conferendo una timbrica personale e affascinante a questi antichi strumenti.

Vina o Veena

La Vina (Veena) è in realtà una importante famiglia di strumenti cordofoni indiani che si suona pizzicando le corde con un plettro o tramite le unghie. Ne esistono differenti tipologie, a seconda delle zone geografiche, tutte accomunate da alcune caratteristiche come le casse di risonanza, generalmente due, costituite da zucche vuote, e un manico molto lungo e largo, dotato di numerosi capotasti.

La Vina ha generalmente sette corde, quattro delle quali utilizzate per le melodie. Le restanti tre sono montate lateralmente sul manico e utilizzate con funzioni ritmiche e di bordone.

La vina si suona pizzicando le corde tramite due plettri posizionati sull’indice e il medio della mano destra; per le corde di accompagnamento, invece si usa il mignolo.

Esiste anche una versione di questo strumento, denominata Vichitra Vina, che non ha tasti e si suona a guisa di slide guitar, posizionandola orizzontalmente di fronte al musicista.

India e gli strumenti musicali da scoprire

Un viaggio attraverso le sonorità dei principali strumenti musicali indiani, è – in realtà – un viaggio tra le pieghe dell’animo umano. Infatti, nella musica indiana l’intreccio tra musica e spiritualità è tanto potente quanto inestricabile. Sono degni di nota altri strumenti tipici della cultura indiana, come il sarod, lo skabrashingdo, il sanpura, lo zupor; l’auspicio è che l’articolo sia da stimolo per approfondire la conoscenza di questo mondo tanto affascinante.