Koto: storia, caratteristiche e suono

Koto

Il koto è un cordofono che deriva dal Guzheng, un antichissimo strumento tradizionale cinese. La sua storia è affascinante e articolata e la sua conformazione è molto elegante. Fu introdotto in Giappone durante il periodo Nara, ossia intorno tra il 710 e il 784. Da allora, lo strumento conobbe una grande popolarità nel paese e divenne ben presto un elemento ricorrente della musica tradizionale giapponese.

Il corpo del koto è formato da una cassa armonica piuttosto lunga dalla forma affusolata. In genere, lo strumento presenta una lunghezza che arriva anche a 2 metri per una larghezza di circa 26 centimetri. Le grandi dimensioni del koto lo rendono piuttosto ostico da suonare per i poco esperti e, in generale, è necessario uno studio approfondito e molta pratica per padroneggiarlo. Sulla cassa armonica sono disposte 13 corde identiche aventi uguale tensione. I ponticelli in legno mobili permettono l’accordatura dello strumento, il quale va suonato con l’ausilio di tre plettri dalla forma simile ad un’unghia.

Il koto, oltre ad essere uno strumento musicale raffinato e delicato, ha un’aura di mistero che da sempre stuzzica la fantasia dei popoli orientali. Infatti, nei tempi antichi veniva paragonato al corpo di un drago cinese disteso per via della sua forma allungata. Le parti che costituiscono il koto, quindi, vengono ancora oggi chiamate con dei nomi che si riferiscono alla creatura leggendaria. Con il termine ryuko (che significa anche schiena di drago) ci si riferisce alla parte superiore della cassa armonica, mentre con ryuto e ryubi ( testa e coda di drago) si indicano le estremità dello strumento.

Proprio per via del suo enorme fascino, il koto è ricorrente anche nelle narrazioni letterarie giapponesi, in particolare nel genere Uta monogatari del periodo Heian. Si tratta di storie di tipo epico e mitologico che prendono ispirazione dalla tradizione orale giapponese. L’atmosfera fantastica e intrisa di magia di questo genere letterario, in effetti, è molto simile a quella evocata dal delicato strumento musicale.

Il suono del koto – Video di Kasubi Watanabe

Koto: storia dello strumento

Come si è accennato, le origini del koto sono da rintracciare in Cina, dove già nel 400 a.C. esistevano cetre a 5 corde che ricordano lo strumento. All’inizio del periodo Han, ossia nel 200 a.C., si hanno prove dell’esistenza di una cetra a 12 corde, dalla quale più tardi ne nacque una a 13 corde. Fu proprio quest’ultimo lo strumento musicale importato in Giappone tra il 618 eil 907 d.C. durante il periodo Nara. C’è da dire, comunque, che esisteva già uno strumento giapponese molto simile al koto; probabilmente quest’ultimo nacque da una fusione dei due strumenti o da rimaneggiamenti successivi.

Durante le epoche si sono susseguiti diversi tipi di koto caratteristici di un dato momento storico. Lo strumento chiamato gakuso è la tipologia più antico che fu importata dalla Cina. Inizialmente era lungo soltanto 167 centimetri ma, man mano, le dimensioni sono cresciute fino a giungere ai quasi due metri di oggi. In origine veniva suonato con tsume (ossia plettri) aguzzi e lunghi. Il chikuso invece venne usato nel genere musicale tsukushigoto tipico della regione del Tsukushi nel XVI secolo. La forma dello strumento restò praticamente invariata rispetto alla versione originale cinese, ma il plettro utilizzato era ancora più lungo. Infine c’è lo zokuso, ossia il koto moderno.

In principio non c’era una grande differenza rispetto alla versione originale dello strumento ma, poco a poco, le scuole musicali apportano le proprie modifiche e migliorie. La scuola Ikuta per esempio ha introdotto plettri di forma quadrata e ha modificato la forma dei ponticelli. Inolte, furono ingrandite le dimensioni del koto e vi furono applicate elaborate ed elegantissime decorazioni. La scuola Yamada invece ha aumentato il volume della cassa armonica e ha modificato le tavole inferiori, così da ottenere un timbro diverso.

Ad oggi la tipologia più diffusa è quella afferente alla scuola Yamada per via della complessità delle decorazioni del koto di scuola Ikuta. Infatti, ormai restano ben pochi liutai capaci di riprodurre nei dettagli uno strumento del genere e, per questo motivo, anche i musicisti di scuola Ikuta spesso utilizzano un altro tipo di koto.

Come accordare il koto

Il koto può essere accordato semplicemente cambiando la posizione dei ponticelli mobili lungo le corde. L’intonazione può variare entro un intervallo molto ampio per via della lunghezza notevole della cassa armonica. Esistono molte tipologie di accordature, ognuna tipica di un certo genere musicale o delle diverse scuole. A seconda del brano eseguito, è possibile spostare i ponticelli per ottenere l’intonazione più adatta. Spesso durante i concerti, infatti, l’accordatura viene cambiata tra un pezzo e l’altro, così da ottenere l’effetto desiderato per ogni singola esecuzione.

La più tradizionale è l’accordatura hirajoshi, utilizzata soprattutto per i brano codificati da Yatsuhashi Kegyo, uno dei principali compositori per koto. Essa è fondata sulla scala musicale che è alla base di quasi tutta la musica tradizionale giapponese dal periodo Edo in poi. La novità di questa scala rispetto a quella usata in precedenza consiste nel fatto che ammette anche intervalli di un semitono. Dunque, per suonare la maggior parte dei brani classici è necessario conoscere la scala musicale miyakobushi sulla quale si basano gran parte delle composizioni.

Per riassumere, quindi, l’accordatura del koto è piuttosto semplice da eseguire, ma è richiesta la conoscenza della musica tradizionale orientale e del sistema musicale giapponese. Volendo, comunque, ci si può sbizzarrire applicando allo strumento la scala che più si preferisce.

Come suonare il koto

La tecnica tradizionale prevede che il koto venga suonato inginocchiandosi di fronte allo strumento poggiato a terra. I musicisti contemporanei, comunque, spesso preferiscono sedersi su una sedia di fronte al koto poggiato su un sostegno. Le corde in genere non vengono pizzicate direttamente con le dita, ma si utilizzano tre tsume (in giapponese unghie, simili a dei plettri) fissati al pollice, all’indice e al medio della mano destra dell’esecutore grazie a piccole fascette in cuoio. A seconda del genere musicale, la forma delle tsume cambia. Nella scuola Yamada si usano plettri di forma ovale, nella Ikuta invece si preferisce la forma quadrata.

Le corde vanno colpite con lo spigolo della tsume. Per questa ragione il musicista spesso si siede in diagonale rispetto allo strumento anziché di fronte. Quando si eseguono brani tratti dal repertorio tradizionale, in genere non si utilizza la mano sinistra per pizzicare le corde, ma solo per premerle variandone la tensione e l’intonazione. Questa tecnica permette di ottenere un suono raffinato e di produrre tutta una serie di abbellimenti tipici della musica classica giapponese.

In epoca moderna, comunque, si è iniziato a utilizzare anche la mano sinistra. Sono suonati in questo modo soprattutto i brani composti nel XX secolo che hanno risentito dell’influenza occidentale. Per ottenere armonia e polifonia, infatti, si rende necessario pizzicare più corde allo stesso tempo e, quindi, non basta più la sola mano destra.

Imparare a suonare uno strumento complesso e dal suono delicato come il koto non è un’impresa semplice. Sono richiesti molti anni di studio e bisogna approfondire la teoria musicale orientale. Infine, se si desidera padroneggiare il koto, è consigliabile rivolgersi a un maestro esperto che possa rivelarne tutti i segreti. Da autodidatti, invece, sarebbe complesso riuscire a immergersi in un mondo così lontano dalla tradizione occidentale e così ricco di sfumature e sfaccettature.

Guida al koto – video di Andrew Ichijo

Come si fabbrica il koto


Il koto è uno strumento piuttosto complesso nonostante la sua apparente semplicità. Sono pochi ormai i liutai capaci di riprodurre la tipologia più raffinata, ossia quella tipica della scuola Ikuta. Infatti, sono necessarie conoscenze dettagliate e specifiche che non sono in molti a possedere.

Per la fabbricazione del koto in genere viene utilizzata la paulonia, una pianta originaria della Cina orientale dal legno molto pregiato. Il piano viene realizzato a partire da un pezzo di legno unico a cui viene data una forma a volta che, insieme al cerchio parabolico, va a determinare il suono caratteristico dello strumento. La sua lunghezza in tempi moderni arriva a quasi due metri per una larghezza di circa 25 centimetri.

Fasi di costruzione del Koto – video di Gerlando Alaimo

Le 13 corde del koto tradizionale venivano realizzate tradizionalmente in seta. Oggi si utilizza anche il nylon o poliestere viscosa. In origine venivano denominate con i nomi delle otto virtù confuciane, a testimonianza del prestigio e della fama dello strumento. Oggi questa nomenclatura è quasi sparita, sopravvivendo solo per tre delle 13 corde. Le restanti 10 ad oggi vengono chiamate con il numero di serie.

Il koto non prevede l’abbelimento tramite gioielli ma, in alcuni casi, possono esservi applicate eleganti e raffinate decorazioni. Il pregio dello strumento dipende in gran parte dalla qualità dei materiali usati, in particolare del legno, ma soprattutto dalle abilità e dalla sapienza del liutaio.