Il pianoforte, una storia italiana

Pianoforte, storia ed evoluzione

Il pianoforte è uno strumento musicale capace di emettere suoni grazie alla percussione delle corde da parte di 88 martelletti azionati da una tastiera composta da altrettanti tasti, 52 bianchi e 36 neri.
I primi, di fatto, rappresentano le classiche sette note musicali. Al contrario, quelli neri sono necessari per riprodurre le relative alterazioni. Il pianoforte è a tutti gli effetti lo strumento cordofono a corde percosse più diffuso in assoluto, infatti, gli altri membri della stessa famiglia, tra cui il fortepiano, ovvero il predecessore del pianoforte, o il clavicordo, vengono principalmente utilizzati per eseguire filologicamente i brani che fanno parte dell’epoca in cui questi strumenti erano maggiormente diffusi.

Il pianoforte è uno strumento musicale capace di emettere suoni grazie alla percussione delle corde da parte di 88 martelletti azionati da una tastiera composta da altrettanti tasti, 52 bianchi e 36 neri.
I primi, di fatto, rappresentano le classiche sette note musicali. Al contrario, quelli neri sono necessari per riprodurre le relative alterazioni. Il pianoforte è a tutti gli effetti lo strumento cordofono a corde percosse più diffuso in assoluto, infatti, gli altri membri della stessa famiglia, tra cui il fortepiano, ovvero il predecessore del pianoforte, o il clavicordo, vengono principalmente utilizzati per eseguire filologicamente i brani che fanno parte dell’epoca in cui questi strumenti erano maggiormente diffusi.

Tuttavia, i pedali presenti su tutti i pianoforti sono principalmente due, ovvero quello una corda e quello di risonanza.

La storia del pianoforte

Il primo modello di pianoforte fu ideato e realizzato in Italia da Bartolomeo Cristofori, un padovano alla corte fiorentina di Cosimo III de’ Medici, a partire dal 1698. Per essere più precisi, lo strumento costruito dal Cristofori venne chiamato gravicembalo col piano e il forte o, in alternativa, fortepiano. Queste informazioni giungono a noi anche grazie alle locandine riferite ai concerti di grandissimi compositori, tra i quali si annovera anche Ludwig Van Beethoven.

La principale novità di questo fortepiano era l’applicazione di una martelliera alla struttura del clavicembalo. In questo modo si dava per la prima volta la possibilità all’esecutore di riprodurre variazioni dinamiche semplicemente regolando il tocco sulla tastiera. Infatti, ciò non era possibile per i clavicembalisti poiché le corde di questi strumenti non vengono percosse ma bensì pizzicate. Purtroppo il pianoforte non riscosse un grande successo nel nostro Paese ma, fortunatamente, l’idea, durante gli anni successivi, giunse fino in Germania, luogo nel quale l’organaro Gottfried Silbermann, durante il 1726, decise di ricostruire un’esatta copia del gravicembalo di Bartolomeo Cristofori. Dopodiché, questa riproduzione venne sottoposta al parere di Johann Sebastian Bach, il quale inizialmente restituì un giudizio molto critico, anche se in futuro, grazie ai miglioramenti di natura tecnica apportati da Silbermann, Bach stesso favorì la vendita di tali strumenti.
Presso la Bottega di Gottfried Silbermann ebbe modo di formarsi anche Johann Andreas Stein, il quale, dopo aver ottenuto una propria indipendenza, si dedicò al miglioramento di meccanismi di scappamento e smorzatori. Nel 1777 ricevette addirittura la visita del celebre compositore austriaco Wolfgang Amadeus Mozart che si mostrò decisamente entusiasta delle nuove e pressoché infinite possibilità espressive del pianoforte.

In Italia furono in pochi a dedicarsi alla costruzione di pianoforti, tuttavia la famiglia Cresci seppe distinguersi durante il periodo napoleonico e della Restaurazione.
Pare infatti che questi strumenti musicali fossero qualitativamente paragonabili ai più blasonati Erard di produzione francese. La meccanica utilizzata sui Cresci era viennese, derivante dunque dalla scuola più importante tra fine ‘700 e inizio ‘800.

Tuttavia, la diffusione del pianoforte venne frenata dall’elevatissimo costo dello strumento, che gli permise di affermarsi solamente all’interno delle corti reali, nei palazzi governativi e tra le sale delle famiglie nobiliari più facoltose dell’epoca. Oltretutto, la sonorità dei pianoforti storici non è assolutamente paragonabile a quella degli strumenti moderni, motivo per cui l’utilizzo era destinato per lo più ad ambienti di dimensioni relativamente contenute.

Fu soltanto durante il Romanticismo, dunque dagli anni ‘40 dell’800 che per la costruzione dei pianoforti si iniziarono ad adottare strutture metalliche ad hoc, successivamente sostituite dalla ghisa utilizzata ancora oggi. Questa caratteristica permise di tendere maggiormente le corde e di aggiungerne di nuove, incrementando così la potenza sonora complessiva. Grazie alle continue innovazioni, anche le casse armoniche diventarono più grandi, dando così vita ai pianoforti a coda e gran coda, ovvero lunghi complessivamente, all’epoca, tra i 2,2 e i 2,6 metri. Queste caratteristiche permisero al pianoforte una sonorità tale da consentirne l’utilizzo nelle grandi sale da concerto e nei teatri. Inoltre, anche la qualità dei suoni prodotti crebbe a dismisura.

ADALBERTO RIVA racconta la storia del pianoforte – video di Musicuvia

La struttura di un pianoforte: da quali parti è composta

I moderni pianoforti sono composti sostanzialmente da otto parti principali, ovvero:

  • cassa e tavola armonica;
  • struttura portante e rivestimento;
  • tastiera;
  • meccanica;
  • cordiera;
  • pedaliera.

La cassa e la tavola armonica: materiali e funzioni

La cassa, così come la tavola armonica, sono costituite principalmente da legni pregiati come il pioppo o l’abete. Nei modelli più prestigiosi, ad esempio i pianoforti italiani prodotti da Fazioli, la tavola armonica è realizzata con il pregiatissimo abete rosso della Val di Fiemme, il medesimo legno utilizzato anche da Stradivari per i suoi celebri violini. All’interno della cassa si trova anche il cosiddetto somiere, una parte fondamentale nella quale verranno inserite le caviglie, ovvero le viti utili per mettere in tensione le corde, spesso realizzata in faggio.

La tastiera del pianoforte

Chiaramente, la tastiera del pianoforte è rappresentata dai classici 88 tasti, 52 bianchi e 36 neri. Il supporto che sorregge ogni tasto è costituito principalmente da legno di abete.
I tasti bianchi dei pianoforti d’epoca erano rivestiti in avorio, oggi fortunatamente sostituito dalla galalite, mentre i neri possono essere costruiti impiegando l’ebano.

La meccanica: martelletti, corde e smorzatori

La meccanica è una parte davvero fondamentale per ogni singolo pianoforte. Questa è costituita da un vastissimo insieme di parti mobili che permettono al pianista di eseguire ogni brano alla tastiera per mezzo dell’azione dei singoli martelletti.

Innanzitutto, nel momento in cui si pigia un qualsiasi tasto, lo smorzatore di riferimento si solleverà, permettendo alle corde colpite dal martelletto di vibrare liberamente. Il cavalletto quindi si alzerà, portando con sé anche il bastone dello scappamento. Quest’ultimo azionerà a sua volta un rullino in feltro fissato direttamente all’asta di ogni singolo martello e ne permetterà il sollevamento.

A questo punto, l’asta superiore del cavalletto si muoverà verso l’alto finché la sua corsa non verrà interrotta dal bottoncino di regolazione. Il martelletto sarà ora libero di andare a colpire le corde allontanandosi dal bastone di scappamento e dal cavalletto stesso. Inoltre, anche lo spingitore si alzerà, rimanendo nella nuova posizione finché il pianista non rilascerà il tasto premuto.

Una volta che il martelletto avrà percosso le corde, mantenendo il tasto abbassato, quest’ultimo ricadrà parzialmente e verrà arrestato proprio dal rullino posizionato sull’asta. Il rullino verrà a sua volta sostenuto dalla parte superiore del cavalletto ancora sollevata. In questo modo, lo scappamento avrà la possibilità di riassumere la sua posizione iniziale, ovvero al di sotto dell’asta del martello ancora in parte sollevato. Nello stesso momento, il paramartello impedirà che il martelletto possa rimbalzare sulle corde appena percosse andando a farle risuonare nuovamente e involontariamente. Qualora il tasto azionato venga sollevato in modo parziale, il martello di riferimento potrà muoversi liberamente, tuttavia lo spingitore resterà sollevato. Di conseguenza, sfruttando soltanto una minima porzione della corsa del tasto, andando ad abbassarlo nuovamente fino in fondo, partendo ad esempio da metà, lo scappamento potrà spingere nuovamente il rullino e dunque permettere di risuonare la nota scelta.

Questo complesso sistema di leve, ripetuto 88 volte sull’intera estensione della tastiera, è definito doppio scappamento, una soluzione che permette al musicista di eseguire note ribattute o trilli molto rapidamente senza che il tasto torni necessariamente alla posizione iniziale.

Tuttavia, è importante sottolineare come il sopracitato doppio scappamento sia installato solamente sui pianoforti a coda e sia assente su quelli verticali. Oltretutto, in questi ultimi, la meccanica potrà tornare alla posizione iniziale solamente se aiutata da particolari strisce in feltro utili per trascinare il meccanismo stesso. Ciò non avviene negli strumenti a coda poiché le parti meccaniche si riposizioneranno grazie alla gravità.

Se vuoi iniziare ad imparare il pianoforte ti consigliamo qualche app e sito utile allo scopo.