Flauto traverso, la storia di un suono

Flauto traverso, storia e suono

Tra tutti gli strumenti musicali, il flauto traverso è uno dei più versatili, grazie all’estensione che può raggiungere e alla dolcezza del suo suono, che lo rende perfetto per qualsiasi accompagnamento e per suonare vari generi di spartiti. Tuttavia, come accade per molti altri strumenti moderni, la forma definitiva del flauto traverso è recente, ed è il risultato di una storia lunga che lo ha visto protagonista di parecchie trasformazioni. Di seguito vedremo i diversi passaggi che hanno portato alla nascita dello strumento che oggi conosciamo e anche qualche nozione più tecnica, illustrandone le caratteristiche fisiche e di funzionamento.

Le origini del flauto traverso

Come abbiamo detto, le vicende che hanno dato origine al moderno flauto traverso iniziano svariati secoli fa: in base a quanto possiamo evincere dalle testimonianze letterarie, sappiamo che questo strumento era conosciuto in Europa almeno dal X secolo. Tuttavia, l’aspetto di questo progenitore presentava alcune differenze: a vedersi, era costituito da un singolo pezzo cilindrico, realizzato in legno (infatti il flauto traverso è classificato all’interno della famiglia dei legni) che, oltre al foro di insufflazione per apportare l’aria necessaria a produrre il suono, presentava altri sei fori che venivano chiusi dalle dita. Le illustrazioni mostrano che alcuni musicisti portavano lo strumento alla loro sinistra, il che lascia supporre che la linea di fori fosse posizionata in modo centrato e simmetrico, cosicché ciascun flautista potesse decidere da che lato orientare lo strumento, in base alla sua comodità. In ogni caso, questa variante era decisamente meno diffusa rispetto a quella che ha preceduto l’arrivo del flauto dolce, che invece si suonava in modo dritto.

La popolarità dello strumento accrebbe nel tempo, e si deve, presumibilmente, agli scambi commerciali di ampio respiro che l’Impero Romano d’Oriente intratteneva con il continente asiatico, specialmente la Cina, dove invece era impiegato comunemente. In tal modo, il flauto traverso trovò il modo di conquistare Germania e Francia, Paesi in cui arrivò a godere di una certa popolarità. Risalente al 1258 è la fonte che lo cita per la prima volta, mentre in seguito non se ne avrà più traccia per 70 anni: in quell’epoca il flauto divenne lo strumento prescelto dall’esercito svizzero per le segnalazioni. Affinché esso giunga all’attenzione dei nobili e delle loro corti, occorre attendere il ‘500 e il Rinascimento. Questo strumento venne chiamato traversa, mantenendo la struttura del suo predecessore medievale ma mostrando la sua versatilità sia nelle orchestre che nelle esecuzioni soliste. Dal Rinascimento abbiamo alcune fonti materiali, ovvero circa una cinquantina di flauti, oltre a numerose descrizioni dedicate allo strumento.

Il Barocco: lo sviluppo verso la modernità

Tuttavia, è con il Barocco che il flauto traverso inizia ad assomigliare allo strumento attualmente diffuso, ovvero tra il 1600 e il 1700. Assumendo il nome di flauto traversiere (o flauto a una chiave) venne modificato notevolmente dai mastri costruttori, che misero all’opera le loro conoscenze per perfezionarlo. Un contributo particolarmente consistente in questo senso lo diede la famiglia Hotteterre. Più precisamente, un cambiamento fondamentale riguarda la struttura: il flauto barocco venne suddiviso in tre sezioni, che presero il nome di testa, corpo e piede. Inoltre, il secondo e il terzo pezzo erano conici, in modo che lo strumento perse la forma cilindrica che lo aveva caratterizzato fin dalla sua nascita. Infine, venne aggiunto un settimo foro, in modo da poter produrre il Re diesis, che veniva controllato da una chiave che poteva facilmente chiuderlo.

Ma non è tutto: il corpo centrale venne a sua volta segmentato in due porzioni, la prima delle quali poteva essere intercambiata con altre di lunghezza differente, in modo che lo strumento potesse facilmente adattarsi ai diapason che venivano utilizzati nelle differenti corti e un musicista viaggiatore potesse disporre di un unico strumento. Il cambiamento strutturale è giustificato proprio da una parallela modifica nelle usanze: nel Medioevo e nel Rinascimento, infatti, i flautisti viaggiavano al servizio delle corti disponendo degli strumenti che venivano loro offerti dai diversi ambienti nobiliari, ovvero dalle cappelle di corte. Dal momento che tutti gli strumenti prodotti erano accordati sullo stesso La, non era necessario modificare la lunghezza del corpo del flauto, motivo per cui questo era costituito da una sola componente, o al massimo due. Tuttavia, l’accordo poteva essere molto diverso in un’altra cappella, variando anche oltre il mezzo tono. Pertanto, quando i musicisti iniziarono a disporre dei propri strumenti, che li accompagnavano durante i viaggi, si rese necessario escogitare un modo affinché essi potessero facilmente adattarsi ai luoghi in cui venivano suonati. Da qui la destrutturazione in tre o quattro sezioni. Per le variazioni piccole era sufficiente regolare la profondità alla quale veniva inserita la testa (metodo che tutt’oggi viene utilizzato per gli strumenti moderni), ma certe volte occorreva sostituire l’intera componente con una più lunga o più corta.

A questa rivoluzione seguì l’epoca classica, nel corso della quale il flauto trovò il suo posto sia come solista (quando conobbe un momento di grande pregio, grazie all’utilizzo che ne fecero compositori del calibro di Bach e Vivaldi) che come accompagnamento, inserito perfettamente all’interno di un’orchestra. Ma al periodo del Romanticismo si devono gli ultimi perfezionamenti, specialmente a Theobald Boehm, con il quale il flauto divenne definitivamente uno strumento moderno, trovando ampio impiego in orchestra ma anche in opere ad esso dedicate, come quelle di Debussy e Ravel, che approfondirono lo studio di questo strumento per utilizzarne ogni sua sfumatura.

Caratteristiche del flauto traverso moderno

Come abbiamo accennato in precedenza, il flauto traverso è molto apprezzato per la sua notevole estensione: il più utilizzato (il flauto traverso in Do) ha un’estensione pari a tre ottave, che spazia dal Do centrale (ovvero il Do4) al Do7. Tuttavia esistono anche modelli in grado di raggiungere un’estensione più ampia, arrivando a coprire tre ottave e mezza, o addirittura quattro, potendo produrre così anche il Do8. Nonostante ciò, questa possibilità, che non era quasi per nulla contemplata negli strumenti antichi, viene in ogni caso poco sfruttata, anche perché la quarta ottava è di esecuzione decisamente difficile. Malgrado le notevoli capacità dello strumento moderno, dunque, che si adegua in modo soddisfacente a intonarsi e a restituire la giusta espressività in tutte le ottave, alcune presentano comunque un rendimento migliore di altre.

Ma la versatilità del flauto riguarda anche i registri che possono essere utilizzati, a seconda del brano che viene suonato, e che si differenziano in grave, medio, acuto e sopracuto. Per quanto concerne il timbro, questo è abbastanza omogeneo, mentre il suono, che a tratti può risultare metallico, è acuto e brillante, ma sempre limpido, tanto che nella musica classica spesso viene assimilato al canto degli uccelli, del quale il flauto imita il suono in alcune composizioni. Un esempio per tutti riguardo a questo utilizzo: la Sesta Sinfonia di Beethoven, conosciuta come la Pastorale. Ovviamente tale caratteristica comporta che l’estremo, rappresentato dalle note più alte del registro sopracuto, risulti eccessivo. Al contrario, il registro grave denota un suono più caldo, equilibrato e armonioso, del quale i compositori moderni fanno vasto uso.

Come suona il flauto traverso

Come abbiamo detto, il flauto traverso è un legno, e pertanto il suono si produce dal flusso d’aria che entra nel foro di insufflazione posto sulla testa e ne raggiunge lo spigolo. La vibrazione del suono viene così innescata dalla colonna d’aria che entra nel corpo dello strumento, e può essere modulata e plasmata dando origine alle differenti note chiudendo i fori con le dita o le chiavi. In questo modo, la lunghezza della colonna all’interno della quale scorre l’aria, viene modificata. Per quanto concerne la tipologia di suono, invece, la resa può variare molto a seconda di come viene introdotta l’aria. In particolare, si può ottenere un suono legato, come quello che si produce durante l’esecuzione delle scale e degli arpeggi, grazie all’elevata agilità che il flauto consente; un suono staccato che, al contrario, delimita in modo netto le singole note e viene impiegato soprattutto contestualmente ai pezzi veloci, quando l’esecutore interrompe il flusso d’aria utilizzando la lingua per occludere il foro; un trillo, che grazie ai moderni strumenti si può eseguire in modo soddisfacente; infine, un suono frullato, che prevede l’entrata dell’aria mentre si pronunciano coppie di consonanti (come “tr”, “vr” o “dr”), in modo da conferire maggiore espressività ad alcuni punti attraverso una piccola vibrazione. Tutte queste tipologie di suono devono essere utilizzate con sapienza dall’esecutore, anche nella considerazione che, trattandosi di uno strumento a fiato, il flauto richiede la disponibilità di una notevole quantità di aria, perciò occorre concedersi delle pause per incamerarne a sufficienza.