Charango. Storia, come è fatto e come si suona

charango

Nonostante la musica sia un’arte a tutti gli effetti e i grandi compositori delle epoche attuali e passate abbiano creato vera e propria cultura per mezzo delle note, è innegabile come le origini di questa attività siano sostanzialmente popolari. Il charango, strumento a corde di origine sudamericana, è un esempio lampante e abbastanza esplicativo. Classificato come cordofono composto con corde parallele a pizzicosecondo lo schema Hornbostel-Sachs al numero 321.321-5, ricorda vagamente una chitarra, ma differisce da quest’ultima in maniera profonda, soprattutto per via delle sue forme e dello stile musicale.

Strumento molto affascinante, il charango ha fatto la storia della musica folkloristica, cosa che l’ha reso immortale e ancora oggi apprezzato per la creazione di sonorità tipiche locali. La sua presenza e conoscenza in Europa non è molto diffusa, tuttavia viene studiato con particolare attenzione da parte degli amanti della musica dell’America Meridionale che fa della ritmicità il suo punto forte. Inoltre, lo strumento può avere diverse forme che si distinguono l’una dall’altra sia per dimensioni che per musicalità.

La storia del charango

Il charango inizia la sua storia durante l’epoca dei conquistadores spagnoli che, oltre ai fatti di cui i libri che raccontano e approfondiscono questi periodi sono pieni, importarono nel nuovo continente diverse vihuela, strumento antico che i soldati stanziali utilizzavano per allietare le giornate. Si pensa, infatti, che gli attuali charango siano proprio un’evoluzione di questo strumento, da cui mutua in maniera decisa forma, numero delle corde e grandezza del manico. La possibile origine è teorizzata da Ernesto Cavour, storico importante in relazione a questo periodo. Molto diffusa è la diceria, ancora né smentita o confermata, per cui la cassa di risonanza dei primi progetti fosse realizzata in corazza di armadillo. Le certezze sono impossibili da ottenere, soprattutto perché la diffusione di questa chitarra folkloristica fu eterogenea in tutto l’altopiano andino, con testimonianze storiche anche molto distanti le une dalle altre.

Quando però si parla della storia del charango bisogna parlare della storia del charango boliviano.

Le evidenze documentali maggiormente diffuse vedono nella città di Potosì, in Bolivia, la sua prima apparizione. Nello specifico, nel comune di Villa Imperial, all’epoca ricchissima per via delle miniere d’argento locali, si concentrano tantissimi artisti erranti, i quali suonavano appunto questo strumento per allietare i lavoratori locali e guadagnare qualche moneta. Inoltre, nella chiesa di San Lorenzo sono raffigurate due sirene che suonano un charango.

La prima testimonianza storica che individua certamente il charango come strumento musicale utilizzato in Bolivia è quella dello studioso Vega che, nel 1814,ammise di aver incontrato alcuni indios che suonavano queste chitarre locali con una tecnica davvero sopraffina. Oggi, lo strumento è utilizzato soprattutto per le rievocazioni storiche oppure per la realizzazione di musica folkloristica. Durante il colpo di Stato cileno del 1973, l’allora governo militare bandì i charango perché considerati sovversivi e non appartenenti alla nuova filosofia che si voleva instaurare.


Com’è fatto il charango

Secondo la tradizione antica, il charango veniva realizzato con il guscio essiccato di un armadillo, l’unico modo per ottenere una cassa armonica delle dimensioni necessarie a realizzare questa piccola chitarra. Oggi, la legge vieta espressamente questa possibilità, tuttavia è noto che almeno a livello locale esistono degli esperti artigiani che si dilettano a creare lo strumento musicale in questa maniera, seppur per fini essenzialmente collezionistici. Grazie alle moderne tecniche di produzione, i charango vengono creati con del legno bombato, prettamente estratto da alberi locali, con un unico blocco.

Le corde del charango sono dieci, con una paletta molto grande, sebbene la lunghezza complessiva non superi mai i 66 centimetri. Le corde sono realizzate in un misto di budello, nylon e metallo e il corpo ha una vita ristretta e ricorda vagamente le chitarre ma scostandosene del tutto. Ogni casa produttrice di charango personalizza in maniera unica i propri strumenti per rendere immediatamente riconoscibile il luogo di produzione.

La disposizione delle corde del charango non è casuale e differisce dagli schemi e dalle consuetudini utilizzate nel campo musicale: queste, infatti, non sono ordinate dalla più grave alla più acuta, ma seguono un particolare standard chiamato temple natural, dove la corda centrale suona come l’ottava. Con questa disposizione delle corde sulla tastiera, lo strumento ha un suono cristallino e molto limpido, che si sposa bene alle usanze andine, dove oggi si concentra il maggior uso di questa chitarra.

Come si suona il charango

Suonare il charango richiede una preparazione simile a quella necessaria per la chitarra, anche perché niente differisce in merito alla posizione delle mani e alla diteggiatura. Naturalmente, cambiano le partiture e le tonalità, ma queste possono essere apprese solamente con uno studio molto specifico e comunque secondo le tradizioni folkloristiche degli utilizzatori abituali di charango. In particolare, per suonarlo si utilizza il sistema di accordatura noto anche come schema rientrante. Per quest’ultimo, i toni delle corde non salgono da una all’altra, progrediscono invece dall’alto verso il basso. Le tonalità del charango hanno spesso dei duplicati di intonazione in modo da permettere allo strumento di produrre un suono molto armonico.

Gli esperti – chiamati charanguisti – prediligono creare un suono simile a quello ottenuto dall’arpa, che si fa forte di intervalli ravvicinati grazie a una particolare disposizione delle corde che elimina lo spazio intercorrente fra le stesse. Tutto ciò rende evidente come il charango sia una chitarra estremamente agile che può mutare facilmente l’intonazione e la tipologia di suono a seconda delle corde che sono montate sulla tastiera, la taratura e la chiave musicale utilizzata.

COME si Suona il charango – video di charango.it

Le tipologie di charango più diffuse

Vista la natura popolare del charango, questo strumento ha parecchie varianti nel Sud America. Ognuna di queste differisce per forma e dimensioni, condividendo invece alcune caratteristiche circa la tonalità e il suono. Di seguito è possibile leggere le più famose e conosciute.

Ronroco

Variante molto grande del charango. Si distingue per essere un baritono lungo 80 centimetri con dieci corde di nylon in doppio ordine. É il modello di charango più utilizzato perché somiglia maggiormente a una chitarra e ha un suono più penetrante.

Charangon

Inventato dal musicista Mauro Nunez, ha una lunghezza di 75 centimetri. Le sue accordature variano da una quarta inferiore fino a una quinta inferiore in modo da distinguersi nettamente dal ronroco. Si tratta della tipologia di charango più diffusa in Argentina, nella quale è utilizzata soprattutto a fini ludici, come ad esempio per la realizzazione di sigle per la televisione oppure soap opera locali.

Walaycho

Il Walaycho è una variante più piccola del charango. Non supera mai i 30 centimetri e le dieci corde sono realizzate unicamente in metallo – con una fattura doppia – all’interno di cinque corsi. Molto particolare è la paletta dello strumento. Siccome deve ospitare 10 accordatori, questa è molto lunga, cosa che aumenta la lunghezza della tastiera di quasi 30 centimetri.

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